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Omelia dell’Arcivescovo Mons. Paolo Rabitti.

 

VI Domenica di Pasqua

Celebrazione Eucaristica

per i “Genitori in Cammino”

13 Maggio 2012 – Cattedrale

 

Cerchiamo di collocare la Parola che abbiamo ascoltato nell’animo, che ha una profondità sia di dolore che di speranza, che solo voi genitori potete adeguare.

Se affrontate il Vangelo cercando di dare risposte ai vostri quesiti, alle vostre angosciose domande, avete per un verso una specie di timbro di autenticazione al vostro stato d’animo, perché Gesù quando si è trovato di fronte alla morte, dice il Vangelo, le sue viscere ebbero una grande commozione. Addirittura quando aveva saputo dell’amico Lazzaro, che era morto, lui che aveva detto: «No! Non è per la morte, è perché Dio sia glorificato», dice il Vangelo, scoppiò a piangere. E anche di fronte alla sua imminente morte lui ha fatto un grido che, se non lo si vedesse alla luce di tutta la Scrittura, sarebbe perfino una bestemmia, ricorderete che esclamò: «Padre perché mi hai abbandonato?».

Questo è il primo stato d’animo che ogni uomo, ogni persona, ma tanto più ogni genitore ha di fronte alla morte del proprio figlio. Le viscere si commuovono senza resistere, il pianto evidentemente sgorga come una cascata dagli occhi e viene da chiedersi perfino «Dio perché?».

Gesù ha affrontato in questo modo la morte, ma quando la stava per vivere, -lui che era Dio e poteva non andare a morire, poteva ottenere dal Padre la liberazione dalla morte, non aveva nessun peccato per cui meritasse la morte,- ha detto parole molto importanti: «Vado a prepararvi un posto». Probabilmente gli apostoli l’hanno guardato con molta sospettosità e probabilmente gli occhi lo hanno fissato dicendo: «è una piccola consolazione che tu ci dai tanto per lenire i nostri dubbi». Allora Gesù ha aggiunto: «Se non fosse così non ve lo avrei detto. Io non sono venuto ad ingannarvi e quando sarò andato tornerò da voi, vi prenderò con me, e voi sarete sempre con me».

Sono parole che noi sacerdoti dovremmo annunciare con convinzione e fermezza, ma facciamo fatica e le annunciamo con trepidazione.

Non sono parole nostre nemmeno sono parole di sterile consolazione, sono le parole di Gesù. Abbiamo, dunque, un Gesù che piange davanti alla morte ed un Gesù che dice: «Io ho vinto la morte».

In questo tempo pasquale, -in cui la Chiesa non fa altro che dire: «Cristo è risorto! Non è più fra i morti, è vivo! Cristo è la vita!»,- oggi, VI Domenica dopo Pasqua, nella seconda lettura abbiamo ascoltato: «Dio ha mandato nel mondo il suo figlio unigenito perché noi avessimo la vita per mezzo di lui». È una dichiarazione che sembra un programma. Perché Gesù sei venuto sulla terra? Forse perché volevi visitare la tua creazione? Forse perché era destinato che tu ti facessi uomo? Forse perché gli uomini avevano troppo bisogno di te? Tante domande!

Il teologo e filosofo cristiano Anselmo d’Aosta nell’anno 1098 scrisse un libro, potremmo dire dalle tante domande, intitolato: «Cur Deus Homo», «Perché Dio si è fatto uomo?». La risposta è nel versetto citato prima, che la liturgia oggi ci ha offerto nella seconda lettura. E in questo, aggiunge, sta l’amore. Non noi abbiamo amato Dio per primi, ma lui ha amato noi per primo e ci ha tanto amato che è andato alla morte per i nostri peccati.

Ecco questo è l’annuncio che scende sulla nostra assemblea oggi. È un annuncio che comprende e piange la morte, ma è anche e soprattutto un annuncio che incide nel cuore una istanza e una sollecitazione di vita che non deve venir meno. Senza dubbio rimangono tutta una serie di quesiti, perché il solo vedervi numericamente tanti moltiplica le domande. Ad esempio penso ai tanti incidenti, penso alle tante malattie, penso alle casualità più strane che accadono mentre la vita fiorisce e i genitori toccano il cielo con un dito perché hanno una creatura che riempie la loro vita, dà significato alla loro esistenza, che fa pensare al futuro, e allora la prima di tutte le domande è «Come mai Signore?». È la domanda che Maria ha fatto a Gesù: «Signore se eri qui mio fratello non sarebbe morto» e quindi, analogamente, anche noi diciamo: «Ma Dio c’eri? Non hai visto la mia situazione? Perché?».

Bene su questo il Vangelo non ci dà nessuna, ma proprio nessuna, pace perché quando a Gesù hanno posto la domanda: «Di chi è la colpa di lui o dei genitori?» la risposta di Gesù è stata perentoria e chiarificatrice: «Nessuno ha colpa, ma è perché sia glorificato Dio».

Allora la prima cosa da fare, cari genitori, ma l’avete già fatta se siete qui, con la fatica più grande della vostra vita, è quella di dire:

«Signore, Tu sai tutto, ti affido la mia creatura, so che non morirà in eterno, so che la rivedrò, so che offrendola a te io compio il sacrificio più grande che s’assomiglia al tuo sulla croce».

Questo è un grande atto da fare, e io ringrazio molto coloro che hanno dato vita all’«Associazione genitori in cammino», perché senza prevaricare, -in quanto è molto delicato abusare del dolore degli altri, così come è anche molto negativo spargere parole enfatiche che lasciano il tempo che trovano, perché a volte l’unica vicinanza è la vicinanza, l’unica comprensione è il silenzio e l’unico atteggiamento è la preghiera,- si sono messi accanto a voi e, cercando di sostenere con voi il vostro dolore, hanno detto: «In cammino, in cammino andremo in quella terra». Quando la vita la stiamo vivendo sembra lunghissima, ma quando volge al termine sembra un attimo e, quando l’avremo finita e saremo nella vita eterna, rideremo da morire del poco tempo che abbiamo vissuto e delle sciocchezze che hanno riempito la nostra vita.

 

Abbiamo relazioni abbastanza note da parte di qualche santo che ha avuto rivelazione e che ha avuto raccomandazione di incitare l’uomo a non illudersi nella vita. Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l’anima ha detto Gesù. E anche quel ricco Epulone, di cui Gesù ci ha parlato, aveva tutto sembrava, oggi diremmo, un nababbo, in una notte ha perso tutto e ha chiesto una goccia d’acqua.

Quindi chi si è messo vicino a voi e ha detto: «Ti aiuto, per quanto è possibile, con una preghiera, con una parola buona, una consolazione, un po’ di compagnia e poi cerchiamo il senso della vita nuova che si è venuta a produrre nella tua famiglia», bene, costui o costoro vanno ringraziati, perché sono altrettanti angeli che Dio vi mette accanto affinché il vostro dolore non sia sterile, ma diventi produttivo di grandi frutti.

 

L’altra cosa che dobbiamo dire è questa. Nel Vangelo di Giovanni, al capitolo cinque, c’è una affermazione, molto impressionante, che dice: «Coloro che vivono in Cristo non patiranno sofferenze», nel senso che anche la sofferenza viene sublimata e nella lettera di San Pietro c’è un eco a queste frasi, in cui si dice che la moglie e il marito, se hanno la fede, riescono ad irrorare la fede nel coniuge. E dice che il coniuge, che magari non ha ancora la fede, viene salvato perché l’unità del matrimonio rende santa l’unica creatura formata dall’uomo e dalla donna, che è quasi come dire che c’è un travaso di santità.

Se San Pietro, facendo eco alla lettera ai Corinzi di San Paolo, dice questo dello sposo e della sposa, a me sembra che si possa dire infinitamente di più di padre, madre e figlio. Allora cari genitori, io penso a quante volte vi avrà sfiorato il pensiero: «Il mio figlio, la mia figlia, si saranno salvati? Dio li avrà con sé? Li rivedrò in Dio? Sono pensieri che forse ogni giorno sfiorano la vostra mente. Bene, alla luce di queste ultime parole io credo proprio di potervi dire Sì! La vostra fede attuale non si ferma al tempo, non rimane sulla terra, come la preghiera sale a Dio. Allora la vostra fede, che diventa anche fiducia, raggiunge la vostra creatura e Dio, che non lascia nessuno senza riconoscenza, neanche un bicchiere d’acqua dato per il suo amore, immaginate se non guarda il vostro amore che gli chiede soprattutto la salvezza eterna.

 

Ecco questo deve darvi una grande consolazione interiore che faccia da pendant alle vostre lacrime e faccia subentrare una nuova speranza nella vostra mente e nel vostro cuore. È bellissimo, dunque, che voi facciate celebrare l’Eucaristia per il vostro defunto.

È bellissimo che in casa insieme preghiate per lui e con lui.

È bellissimo che ciò che avreste destinato a lui, se fosse ancora in vita, voi lo diate ad altri figli che possano vivere al meglio la loro vita, e qui penso all’aiuto che voi date al Seminario Diocesano quasi come adottandolo. Ecco sono queste cose grandi che giungono al cuore di Dio e Iddio non può chiudere il cuore, e quindi il vostro figlio viene salvato dalla vostra fede. Queste sono state alcune parole che mi sentivo di dirvi in un giorno importante per voi, in questo convegno annuale, che vi vede uniti a coloro che vi hanno convocato con grande amore e grande carità, che vi vede pieni di dolore perché è un dolore che non scompare, ma in parte si rigenera in speranza; vi riempie dandovi la consapevolezza che Dio è più grande del nostro dolore e della nostra speranza.

 

Per questo insieme a voi preghiamo e vi auguriamo quel tanto di gioia che può coesistere con le lacrime, -affinché sì piangerete, ma la vostra gioia nessuno potrà portarvela via,- e possiate garantire anche ad altri genitori che sono nella sofferenza che si può piangere e sperare, si può soffrire e gioire ad un tempo.

 

E così sia.


Genitori in cammino - ultimo aggiornamento:  martedì 21 luglio 2015